Alessandro VI Borgia: « Ahimé! Julia figliola carissima, che neppure la superba bellezza di Caterina Gonzaga riesce ad offuscar la tua, di quale colpa sono ostaggio senza ch’io me n’avveda? Già, ella manco è degna della tua presenza, come fosse una lucerna al cospetto d’un sole, eppure tu mi sfuggi come una donna pubblica dopo il suo servizio. Tu, che ci domandi sinecura la Legazione Apostolica di Viterbo per tuo fratello il cardinal Farnese e che frattanto ti allontani, sì, che il tuo tesoro è qui, sì, tu lo dichiari, e che non v’è gaudio né letizia ma burla e vanità in cotanti banchetti e divertimenti e feste, poiché dove sta il tuo tesoro, lì sta il tuo cuore, ma allora che forse questa dannata carta fosse fatta per inchiostrarci sopra solo il nostro strazio?
Madama Lucrezia ti tiene in locho de sorella, e tu ti porti con modestia, come sei usa in tutte le altre cose che bene conoscemo, e mai della tua perfezione siamo stati in dubbio, ma vorressimo che tutta così come fosti destinata ti dedicassi a quella persona che più d’ogni altro te ama.
Basta esitazioni, risponderò alle tue parole, e che si faccia cosa certa del mio volere: “…quanto al che ce scrivite che oramai saria tempo che ritornaste de qua, vui sapite madama che ala partita vostra vi dicessimo che nostra intenzione era che fusti tornata a Roma per tutto il presente mese…”».

 

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