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a cura di Federico Caramadre
“LUIGI FABRIZI, la negazione del maestro”
Viaggio nei ritratti d’artista di Luigi Fantini
“Thus we play the fools with time, and the spirit of the wise sit in the clouds and mock us”
“Così giochiamo come folli con il tempo, e gli spiriti dei saggi siedono fra le nuvole e ridono di noi”
William Shakespeare
Se fosse una partitura musicale sarebbe un racconto. Se fosse un romanzo potrebbe avvicinarsi a un’opera lirica. Se fosse un dizionario sarebbe aperto alla "S" di storia, se fosse un quadro avrebbe il beneplacito della linearità e la critica della modestia. Se fosse un’opera di Luigi Fabrizi, sarebbe uno dei suoi tanti sogni immaginati.
Se fosse, come è, una serie fotografica che ritrae un’artista, è il ricordo vivo e vivace dell’artista stesso, Gigetto, colto tra i suoi sprazzi ironici e le sue staffilate sarcastiche, quelle che trapelano dal suo sguardo, col quale parlava più che con mille altre inutili parole.
Colto e ritratto tra le sue opere, ninfe immaginarie recuperate dai boschi, il suo mondo fantastico di nostalgie lontane, di quella malinconia che è incorniciata sempre lì, in quell’occhiata che ti strappa il cuore, in quel berretto da pittore, in quel mezzo giro di sciarpa d’artista. Sembra quasi di toccarlo, di poterci ancora scambiare quattro chiacchiere su questa o quella avanguardia, su questo o quello scempio ambientale, sull’ultima tomba etrusca ritrovata.
Tutta l’iconografia dell’uomo Luigi Fabrizi è lì, in questi scatti, in queste riprese fotografiche ancora in formato pellicola 35mm, in quelle pose malcelate che lo vedono “attore di se stesso”, chiamato suo malgrado “a recitarsi”, e paradossalmente, impronta indelebile del suo passaggio nella storia dell’arte. Sì, perché lo vediamo così, Luigi Fabrizi, intento a interpretare il ruolo di se medesimo, a momenti abbandonato ai suoi singhiozzi, sovrappensiero, distratto dal suo stesso quadro con il quale invece avrebbe dovuto fingere un rapporto estemporaneo, epico, o acceso come una miccia da un’idea di sfottìo, lì, davanti all’obiettivo, pare quasi di sentirlo, si è appena girato, guarda in macchina, adesso parla e ci manda a quel paese, tutti, nessuno escluso, è lì, e vi sta per parlare, non lo sentite?!
Gigi Fantini (1950), fotografo e fine stampatore, è riuscito a fissarlo nel mirino, a scattare nel momento giusto, che non poteva essere che quello, e al di là della forza evocativa intrinseca al ritratto di chi non è più presente, la serie fotografica che l’autore ci propone si sgancia nettamente dall’aspetto folcloristico e familiare, e sebbene ripercorra proprio l’ultimo periodo di vita dell’artista, si libera dall’idea della foto ricordo, per abitare invece la dimensione onirica e strutturale dell’iconologia. L’artista Luigi Fabrizi è ritratto come l’icona di se stesso, a metà tra lo scatto della sala di posa e il reportage, aspetto che descrive in modo indubitabile la personalità stessa di questo pittore, sempre mediata tra studio e improvvisazione, corollario costante e traccia indelebile di tutta la sua opera.
Il taglio cinematografico delle inquadrature, con elementi fuori fuoco in primo piano a costituire delle quinte sceniche, e la furbizia scenografica del set, in cui le opere di Fabrizi fanno da intorno e sfondo all’umoralità fortemente espressiva del volto, sanciscono l’attenzione stilistica di Fantini per il racconto. I ritratti fotografici, abilmente corretti nel dosaggio di lumeggiature e di penombre in fase di stampa, ci portano nell’immediatezza di un momento che è anche un modo di essere, uno stato d’animo del soggetto, il disegno della sua indole, la testimonianza del suo carattere.
Da un punto di vista strettamente formale acquista un senso la scelta del bianco/nero tonale, impresso nella celluloide e stampato a mano all’ingranditore, tra bagni acidi, grani d’argento e carte emulsionate che appartengono anch’esse alla storia della fotografia, alla tradizione, allo statuto fotogrammatico.
I modi, i tempi, e aggiungo qui “gli umori” della chimica, si ritrovano tutti in una collezione adatta al servizio che si era prefissa: testimonianza inoppugnabile di quel modo di essere che nonostante i filtri e le appendici non può che appartenere in toto al suo soggetto di indagine: Luigi Fabrizi.
Federico Caramadre
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