Amor nello specchio
Ferrara: qui ricorre quello che è stato definito, non senza azzardo linguistico, l'Anno Lucreziano, ovvero, festeggiamenti in onore di Lucrezia Borgia. Anno 1480, per capirci. "Amor nello specchio" è testo teatrale di Giovan Battista Andreini, che lo compone, ovviamente, nel 1622. Più di cento anni dopo la nascita di Lucrezia. Come se per commemorare la scoperta del pomodoro invitassimo il perlage dello spumante a fare da contorno. E già questo basterebbe a voltar pagina. Invece no. Voglio vederlo, lo spettacolo, e quantomeno capire cosa c'entri con Lucrezia. Lucrezia Borgia, dicevamo, figlia di Rodrigo Borgia, papa simoniaco passato alla storia col nome di Alessandro VI, primo fra i detentori della Tiara ad essere oggetto della famose "pasquinate", uomo politico del tempo, uomo che senza scrupolo impose in più di una circostanza alla figlia Lucrezia amori prossimi alla "ragion di stato", molto meno vicini all'amore, e che la figlia subì consenziente come d'uso alle dame del tempo, passando, anche per questo, alla storia, di Roma e del papato. E infatti, quel che si legge tra le note dello spettacolo è che trattasi di un "indiretto omaggio alla figura di Lucrezia", in un lavoro che "racconta le molte facce dell'immaginario erotico femminile". Erotismo e non amore, e a leggere bene il testo (vicino alla commedia dell'arte) di dire "infatti" ti passa la voglia, il nesso tra Lucrezia e "Amor nello specchio" si fa via via più cupo e misterioso, già, ma l'allestimento dello spettacolo allora?! Eh sì, perché per un evento così, Ronconi che lastrica di specchi Corso Ercole I d'Este, e che utilizza un parco di venti attori la Melato in testa, tu ci parti da Roma, mica santi, e sali su quelle gradinate ripide che solo a guardar giù dovrebbero rimborsarti il prezzo del biglietto, e subisci pure l'attacco di novantatre zanzare fameliche che solo per questo il biglietto dovrebbe pagartelo l'organizzazione, per arrivare, infine, a due ore e mezzo dall'inizio dello spettacolo, a capire di non aver capito assolutamente niente, e mica sei il solo stupido, no, ti giri intorno e chiedi, e ti rispondono anche gli altri che non hanno capito niente, e che "ha fatto bene quel signore, l'ha visto?, quello che poco dopo l'inizio s'è alzato e se n'è andato, almeno lui...". Già, almeno lui. E invece no, se ti fai tutti quei chilometri per vedere uno spettacolo e poi non lo vedi fino in fondo, insomma, è che andava visto davvero tutto, quello spettacolo lì. Intanto per capire che con Lucrezia non c'entra assolutamente niente, e che se la prossima volta volessi proporre Dante alla sagra del carciofo saresti comunque in tema, un nesso lo trovi di sicuro, magari scomodi Arcimboldo, e poi per aver scoperto un testo eccellente, che nulla ha da invidiare a tanti altri autori più gettonati e di sicuro molto meno ricchi e graffianti, infine per aver sentito lei, Manuela Mandracchia, nel personaggio di Lidia, l'unica attrice ad aver capito che quella cantilena di Ronconi se la sai dire è musica, e si capisce, ma l'unica davvero, e su venti, è come assistere a diciannove polacchi che parlano con un'italiana cantando in slavo. Peccato. Peccato, perché è davvero bello, quel testo lì. E nonostante non c'azzecchi un cece con Lucrezia, nonostante gli attori si ostinino a parlarsi da trenta metri come fossero a tre centimetri, nonostante tu ci metta un quarto d'ora per capire chi stia parlando adesso - prodigi della tecnologia, ma gli attori non hanno ancora confidenza coi microfoni, ai tempi di Lucrezia no davvero, si può capire - nonostante l'assetto di un parco luci da mega concerto rock utile a restituirti solo un ghiacciolino triste e un verdino spento, nonostante gli attori non abbiano capito Ronconi, o Ronconi non abbia capito che gli attori non lo hanno capito, nonostante tutto questo, ebbene, ti avvedi del fatto che solo qui e in questo modo avresti potuto accettare un lavoro come "Amor nello specchio", e che il luogo fa la differenza, e che Ferrara è una città incantevole, e che ti sei innamorato almeno quattordici volte girando per le sue vie in bicicletta (come qui fanno tutti) e che altrettante volte ti sei stupito di come la femminilità più femmina di quelle belle donne in bici la conservino pure le donne anziane, che pure ancora in bici nonostante l'età camminano sbarazzine per i vicoli del centro, e che se c'è una giustizia a questo mondo è proprio la capacità delle cose belle a mostrarsi intatte e in un solo istante, riflettendo tutto il loro splendore come si fosse dinanzi al richiamo di uno specchio, foss'anche a cavallo dei secoli, passando dal '500 di Lucrezia al '600 di Andreini e da quelli a questo, per farti innamorare ancora e solo di quegli stessi riflessi, attimi di ludico smarrimento e di fatale lascivia, che solo a saperli vedere... Alla fine, a parte le architetture mirabili della città e il garbo sensuale dei suoi abitanti, mi chiederò cosa dovrei portarmi dietro da questo viaggio. Mentre ci penso abbandoniamo l'autostrada (io e gli amici di questo capitolo), oramai di ritorno a Roma, e cavalchiamo l'appennino, fino a scendere a Pistoia, da dove riprendere verso Firenze, così, per una gita in più, rimasti vagamente insoddisfatti da tanta magnificenza e troppi discorsi su quel che sarebbe potuto o dovuto essere. Pistoia centro, un bel paio di scarpe in vetrina, entro, sono mie, vado a pagare, mi danno la busta, la scatola, il biglietto da visita del negozio, tutto firmato Federico Andreini. Federico. Andreini. Sul mio nome il cognome da portare nella memoria del ricordo di un viaggio che camminerà ancora molto nei suoi riflessi più inattesi, con me, almeno finché ne avranno voglia quelle scarpe.
Alla prossima, allora. |
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